Gabriele Mattera. Dal rosso al blu
Dal rosso al blu
L’ultima fase dell’attività artistica di Gabriele Mattera è caratterizzata da figure dai diafani profili, connotate da un colore che ne rispecchia la condizione esistenziale. Uomini in giallo, uomini in verde, uomini in viola, uomini in rosso e, da ultimo, uomini nel blu della notte, fluttuanti in uno spazio indefinito. Intervistato da Giuseppe Massimini, in occasione della grande mostraalla Torre Quevara (2003), l’artista ischitano sintetizzava così il suo percorso creativo: «Dagli anni cinquanta ad oggi la mia pittura si è sempre svolta per cicli. Ogni ciclo ha un ritmo preciso, pause e accelerazioni diverse e un movimento complessivo che sul punto di esaurirsi si rialza e si riprende. Ho iniziato con i Pescatori, dove gli uomini gravati dalla mole dei loro corpi stavano nella penombra delle barche dalle alte sponde e oggi lavoro agli Uomini in rosso in cui i corpi non hanno spessore né peso e sono soltanto tracce di ombre».
Mattera non appartiene ad un movimento artistico particolare e non si presta all’imitazione. Perfezionò la conoscenza dell’arte contemporanea a contatto con alcuni protagonisti della pittura novecentesca, approdati nell’isola natale dove ha trascorso tutta la vita. Da un osservatorio appartato ha filtrato con distacco quanto la cultura contemporanea andava proponendo nelle sue incalzanti vicende. Nonostante il parallelismo con alcune poetiche neofigurative, la sua opera ha un mordente in più sulle istanze comunemente propugnate. Se pittori come Giacometti e Bacon hanno esercitato su di lui un’incontestabile influenza, si è trattato di qualcosa di più profondo di un semplice aggiornamento. Mattera si è mosso dentro il sentimento del tempo in tempo reale dotandosi in maniera autonoma di una visione e di un linguaggio indipendenti. L’intimità del soggetto e la sua traduzione in pennellate libere su fondi monocromi squillanti proiettano le figure rappresentate in una dimensione fatta di intensità pittorica e interiorizzata rappresentazione. I suoi dipinti raccontano l’immediatezza della ricerca di una verità soggettiva dell’espressione, sono la visualizzazione di un approccio con il personaggio attraverso il modo in cui figura e spazio riescono ad esprimere il messaggio mediante il colore, che è il mezzo espressivo determinante nel presentare la personalità voluta.
«Ciò che mi sta a cuore è l’uomo» ha dichiarato Mattera. Lo sguardo dell’artista sui suoi personaggi è un partecipare, un possedere a distanza. Le immagini germinali, ricche di elementi evocativi, sono generate dal crescere della forma fino all’identificazione tra sguardo e visione, continuamente problematica, e perciò vitale. Un accumulo di elementi concorre a dare ad esse la massima espressività, realizzate attraverso l’alternanza e la confluenza di tecniche diverse, dallo sgocciolamento agli accumuli materici, dalla cancellazione con stracci alle macchie. A differenza dei pittori informali, per i quali il caso ha un valore significante, Mattera affida al caso una finalità figurativa ed espressiva, il cui linguaggio coincide con il contenuto. Il gesto del dipingere ha sempre un presupposto contenutistico, giacché la sua poetica si basa sul presupposto del soggetto dipinto.
Nelle 14 tele che compongono il ciclo Il blu della notte dipinte nel 2005, anno della morte, Mattera entra in una dimensione senza tempo. Nel fluido magma del «buio blu di un cielo notturno e abissale» galleggiano i corpi delineati con brevi tocchi di luce «esprimendo la magnifica grandezza di una danza della morte o danza macabra quale manifestazione che aspira all’aldilà» (Marco Lorandi). Il volto è cancellato, nessuna forza di gravità riesce ad equilibrare un corpo in balia degli eventi e del destino. «Lunghe mani bianche, dalle dita interminabili, scivolano sulla profondità della notte. Non lottano, non cercano di abbrancare la materia. Si lasciano andare. Accettano» (Danièle Rousselier). Ė l’estremo messaggio di chi, dopo aver esaltato i colori del giorno, apre gli occhi sul blu della notte, calato in una situazione sottratta alla certezza del nostro vedere.
Giuliano Menato